Trentotto anni dalla strage di Piazza Fontana e dall'inizio 'ufficiale' di quella stagione che, definita in seguito 'strategia della tensione', insanguinò l'Italia nella seconda metà del secolo scorso, da Brescia a Bologna, dagli attentati terroristici di estrema destra a quelli di estrema sinistra, dai NAR alle Brigate Rosse, fino alle estreme propaggini mafiose degli ultimi anni del novecento. Un panorama confuso, si dirà, che mescola nel ricordo la morte del commissario Calabresi e quella di Aldo Moro, le stragi sui treni e quella della Galleria degli Uffizi; avvenimenti tutti che oggi fanno parte dello stesso terribile insieme. L'Italia della nostalgia fascista e quella dell'integralismo comunista estremo si confrontarono, in quegli anni, ai due estremi del cerchio, fino a toccarsi e confondersi in una medesima traccia rossa di sangue. Una stagione di tensioni e di delitti che sembrò cominciare proprio in quel 12 dicembre 1969 quando le radio dettero la notizia dell'attentato in una banca di Milano e dei dodici morti che quell'attentato aveva causato. L'Italia restò incredula, sbigottita. Si cominciò subito a cercare la pista 'anarchica', ma fu ben presto evidente che il livello dove scavare era diverso, in un turbinare quasi granguignolesco di 'infiltrati', di servizi segreti ('deviati' si cominciò a dire), di responsabilità sfuggenti e scivolose, difficili da accertare, mai definitivamente accertate. Un'Italia che, senza capire, stava entrando negli 'anni di piombo'. |