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venerdì 17 ottobre 2008
INTERVENTO DEL SEGRETARIO POLITICO GIUSEPPE PIZZA AL CONVEGNO M.C.L.
INTERVENTO DEL SEGRETARIO POLITICO GIUSEPPE PIZZA AL CONVEGNO M.C.L. - ROMA 17 OTTOBRE 2008 17/10/2008

Amico e presidente Carlo Costalli,

nel porgere con te e a nome del Governo Italiano un cordiale sincero e sentito benvenuto agli ospiti numerosi ed autorevoli provenienti dagli altri Paesi Europei, non posso non ringraziarti subito delle anticipazioni che mi hai fornito sui contenuti e sugli obiettivi di questo importante convegno di studi che riprende in Italia una tradizione costante del mondo cattolico e della Democrazia Cristiana, fin dalle sue origini.

E’ degli anni 1943- 1945, infatti, l’iniziativa di un gruppo di studiosi cattolici che, insieme e in termini espliciti, misero a punto le premesse teoriche dell’intervento pubblico nel campo dell’economia e del lavoro in Italia, disegnando un modello che farà poi scuola anche a livello europeo.

Si tratta del Codice di Camaldoli, postulato di un organico intervento dello Stato nello sviluppo del Paese, alla luce della Dottrina della Chiesa, della domanda sociale di un Paese sconvolto dagli eventi bellici e della esigenza di riprendere in Italia e in Europa il cammino tracciato da Leone XIII con la Rerum Novarum.

Il Codice,nei suoi principi ed enunciazioni, avrà poi un ruolo importante nella definizione degli aspetti relativi allo sviluppo e al lavoro della Carta Costituzionale dell’Italia, entrata in vigore il primo gennaio del 1948.

Ne cito un solo passaggio, attuale oggi come allora, in Italia come negli altri Paesi Europei, che giustamente pone al centro dell’attenzione e dell’azione la “persona” come tale, titolare di diritti e di doveri non sacrificabili alla autorità dello Stato, come purtroppo e con conseguenze drammatiche è avvenuto nella seconda metà del ventesimo secolo nei Paesi a regime collettivistico.

“E’ proprio della giustizia sociale – recita il Codice di Camaldoli – instaurare un ordine nel quale i singoli diano tutto quanto essi sono in grado di apportare al bene comune e ottengano quanto è necessario per un armonico sviluppo delle energie individuali, quale sia consentito dalle condizioni di ambiente, di tempo e di luogo”.

Mons. Giampaolo Crepaldi, con l’autorità e la competenza che gli sono riconosciute – e non solo negli ambienti ecclesiastici – ha tracciato il quadro delle sfide con le quali deve fare i conti il mondo globalizzato, riprendendo un discorso che ha avuto passaggi significativi nell’enciclica di Benedetto XVI “Deus Caritas Est”.

“I mezzi di comunicazione di massa – sottolinea il Papa – hanno reso oggi il pianeta più piccolo, avvicinando velocemente uomini e culture profondamente diversi. Se questo stare insieme suscita incomprensioni e tensioni, tuttavia, il fatto di venire, ora, in modo molto più immediato a conoscenza delle necessità degli uomini costituisce soprattutto un appello a condividerne la situazione e le difficoltà”.

Commentando l’enciclica “Deus Caritas est” Mons. Crepaldi, in una chiosa del 2007, afferma che “Benedetto XVI ha reso ancora più esplicito quanto i suoi predecessori avevano più volte affermato, ossia che la dottrina sociale della Chiesa non è periferica, ma centrale nella vita cristiana”.

D’altra parte è stato proprio il Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, di cui Mon. Crepaldi è Segretario, pubblicando nel 2004 il “Compendio della Dottrina sociale della Chiesa”, ad affermarne e sostenerne la centralità nella vita cristiana e politica dei nostri tempi.

A breve, secondo quanto è emerso da indiscrezioni ufficiose del recente Sinodo dei Vescovi, Benedetto XVI dovrebbe emanare una organica ed attesa enciclica sociale, anche per sottolineare la continuità del ruolo della Chiesa nella vita sociale dei popoli ed indicare ai cristiani, vent’anni dopo la “centesimus annus”, le nuove sfide che impegnano la Comunità e, in particolare, quanti hanno responsabilità pubbliche di carattere politico e sociale.

E’ un evento che avrà un peso importante sugli orientamenti che andremo a sostenere nelle sedi parlamentari e di Governo e sono convinto che il Presidente dell’MCL Carlo Costalli e lo stesso PPE si faranno carico di iniziative adeguate in una Europa sempre più impantanata nelle sabbie mobili

della economia, dove è stata trascinata da un capitalismo che si avvita su se stesso, sempre meno cristiano e ancora meno attento alle drammatiche condizioni sociali di gran parte del nostro pianeta.

Presidente ed illustri ospiti di queste giornate di studio, vorrete scusare questa digressione dai temi specifici della Scuola, ma come Segretario della Democrazia Cristiana, un partito – una volta grande e perno della ricostruzione nazionale e della nuova Europa, dopo le macerie della seconda guerra mondiale - , ma oggi costretto ad una ripartenza difficile ed impegnato da circa quindici anni nei tribunali di Roma e di gran parte d’Italia per salvaguardare la propria identità e il patrimonio d’idee che ne hanno caratterizzato la storia, non potevo non esprimermi con chiarezza in ordine a quella che riteniamo essere la bussola e il quadro di riferimento della nostra azione politica: la dottrina sociale della Chiesa.

Abbiamo imparato sulla nostra pelle quello che Alcide De Gasperi rimproverava ai quadri dirigenti del partito.

“Dopo il Colosseo e le catacombe – ebbe ad esclamare lo statista trentino – i democristiani non sanno più soffrire”.

Noi, dopo le vicende politiche e giudiziarie degli anni novanta, abbiamo appreso anche il valore della sofferenza e dell’incomprensione.

Ma veniamo ai temi specifici della Scuola e del suo rapporto con il mondo del lavoro, un settore che mi vede direttamente impegnato con Maria Grazia Gelmini all’interno
della compagine di Governo che ha come premier Silvio Berlusconi.

Le mie riflessioni non possono non riferirsi ad uno spaccato della vita nazionale e l’analisi da cui partono rappresenta uno degli aspetti meno noti ma certo di maggiore peso delle diseconomie che caratterizzano il nord e il sud dell’Italia, il nord a sviluppo industriale avanzato e di rilievo internazionale, il sud con una grande vocazione turistica ed ambientale ma ancora alle prese con uno sviluppo industriale approssimativo e inadeguato.

Negli ultimi cinquantanni queste due aree, ben definite anche se geograficamente frastagliate, hanno evidenziato fenomeni nel rapporto scuola-lavoro inversamente proporzionali.

Al nord ed in alcune aree di eccellenza del centro e del sud, dove l’offerta di lavoro e le possibilità d’impiego erano più agevoli, i vari cicli scolastici hanno avuto una funzione di
inserimento graduale nel mondo del lavoro, a secondo degli orientamenti professionali dei singoli studenti e delle loro famiglie.

Così, dopo gli studi di base, molti hanno trovato occupazione e lavoro nelle fabbriche, come maestranze e operai qualificati.

Altri, terminati gli studi di secondo livello, hanno trovato lavoro come ragionieri, geometri o impiegati di amministrazione e tecnici di livello.

Solo una quota, ben motivata e predisposta, ha affrontato gli studi universitari, con un saldo iscritti-laureati decisamente positivo.

Ben diversa è stata la situazione al sud ed in alcune aree depresse del centro e del nord.

La scarsità dell’offerta di lavoro, la stagnazione di settori trainanti della domanda pubblica e privata ed anche una tradizionale maggiore predisposizione dell’ambiente sociale hanno fatto via via dell’itinerario formativo e scolastico una sorta di area di parcheggio, particolarmente evidente nel “bum” delle iscrizioni alle Università ma anche nel modesto indice di realizzazione del conseguimento della laurea.

E’ questo un dato analitico dal quale non possiamo prescindere se vogliamo creare un circuito virtuoso scuola-occupazione.

Ne siamo coscienti ed uno degli obiettivi qualificanti del federalismo territoriale non può non essere quello di un riequilibrio del rapporto in sede locale tra formazione scolastica e mondo del lavoro, favorendo l’orientamento professionale e dando maggiore peso alle predisposizioni oggettive della popolazione scolastica.

A livello nazionale siamo impegnati in un recupero di credibilità e di ruolo della scuola italiana, a tutti i livelli,

con un dialogo difficile ma necessario con i sindacati e le forze sociali, “conditio sine qua non” per porci come obiettivo standard europei di qualità.

Siamo coscienti dei ritardi e delle difficoltà, ma siamo anche determinati e convinti che solo la “democrazia mite e dialogante” – una delle caratteristiche storiche della Democrazia Cristiana – può determinare approdi sociali positivi e condivisi.

Siamo anche coscienti della necessità di una maggiore qualificazione delle nostre Università, riducendo e razionalizzando l’attuale pletora dei corsi di laurea, così come della necessità di dare spessore ed ali al mondo della Ricerca, sia essa pura od applicata ai processi produttivi e a nuove produzioni di qualità.

Siamo anche coscienti che dobbiamo sempre di più ragionare in linguaggio europeo e che non è sufficiente approvare direttive che poi restano solo sulla carta.

Gli Ordini professionali vanno rivisti nella loro costituzione e nelle loro prerogative, adeguandoli alle norme sulla concorrenza recepite dal Parlamento e che potrebbero determinare nei nostri confronti l’avvio di procedure d’infrazione da parte di Bruxelles.

Da solo, tuttavia, l’impegno del Governo e dello stesso Parlamento non basta, non è sufficiente.

E’ necessaria una grande alleanza, uno sforzo comune della politica e della società, delle istituzioni scolastiche e dei soggetti sociali per determinare percorsi ed obiettivi comuni.

La scuola non può essere un corpo a sé stante che esaurisce le proprie funzioni con una formazione professionale teorica ed astratta, lontana dalla realtà del Paese e incapace di capirne ed interpretarne gli interessi.

La scuola deve ritornare ad essere palestra ed incentivo, capace non solo di capire i bisogni ma anche di selezionare e di favorire il merito, di incentivare capacità e obiettivi di qualità, di inserire sempre di più le nostre istituzioni e le nostre intelligenze nei circuiti internazionali.

Per farlo, noi, democratici cristiani d’Europa, abbiamo qualche ragione in più del mondo laico ed anche qualche responsabilità in più.

Crollato dopo meno di un secolo il mito del socialismo reale, che ha lasciato miseria e macerie nei Paesi dell’Est europeo, mortificando capacità ed intelligenze che solo ora hanno la possibilità di farsi apprezzare su di uno scenario internazionale più vasto;

in coma profondo il capitalismo d’assalto e il delirio di onnipotenza che ha avuto nelle banche d’America il suo punto di massimo ed effimero successo, spesso lontano dalla realtà concreta del pianeta e dei suoi problemi;

resta alto e più attuale che mai il grido di dolore di Carol Wojtjla, il papa più amato, sul nord del mondo ricco viziato e con tecnologie avanzate e sul sud del mondo, dove ancora si muore di fame e di malattie.

L’economia, la ricchezza, il successo non possono essere la misura del nostro impegno e l’obiettivo al quale sacrificare la vita e il futuro del pianeta.

Il risveglio può essere brusco e drammatico.

Quei “cento nuovi milioni di poveri” che i mass media indicano come risultato della crisi delle Banche a livello mondiale pesano come e più di una guerra perduta.

Prima dell’economia, prima della politica, viene la “persona”, con i suoi limiti e le sue debolezze, ma anche con la sua capacità di crescita, con la sua consapevolezza di essere comunità, la sua disponibilità a capire le ragioni degli altri e ad essere solidale.

E non è questa la lezione della dottrina sociale della Chiesa, non è questa l’intuizione di Leone XIII e dei suoi successori sul soglio di Pietro?

E non è questa anche la funzione di una scuola moderna, efficiente, in grado di offrire agli studenti gli strumenti per muoversi con consapevolezza nel mondo del lavoro, della cultura e della vita associata?

Vorrei chiudere questo mio intervento – augurando agli ospiti degli altri paesi europei di lavorare con serietà ma anche di godere fino in fondo di questo stupendo autunno romano – con un episodio che mi ha particolarmente colpito e che riguarda i cinquantacinque giorni di prigionia di Aldo Moro,
rapito e poi assassinato dalle Brigate Rosse.

Ne parlano Carla Mosca e Rossana Rossanda in un libro intervista di qualche anno fa a Mario Moretti, carceriere ed autore materiale dell’assassinio del Presidente della Democrazia Cristiana nel 1978.

Moro si sentiva abbandonato dal suo partito ed era cosciente dell’epilogo drammatico della sua vicenda umana.

Ebbene, anche in quel frangente e in quel tumulto di sentimenti, due elementi emergono con chiarezza dalla sua analisi: da una parte l’anima popolare della Democrazia Cristiana e la sua capacità di capire la gente e di interpretarne i bisogni; dall’altra la necessità per costruire una prospettiva per il futuro di partire dalla scuola.

Presidente Costalli, amici dell’MCL, ospiti graditi di questa assise, l’Italia e l’Europa se vogliono avere un ruolo positivo e di riferimento per gli altri paesi del pianeta agli albori di questo terzo millennio non possono se non partire dalla scuola e dal mondo del lavoro.

Grazie e l’augurio di un buon lavoro e di risultati proficui e concreti.
posted by segreteria Dc @ 19:45  
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