Sito Ufficiale della Democrazia Cristiana Mesagne: febbraio 2009
 
 
sabato 14 febbraio 2009
Alcune precisazioni

La Democrazia cristiana di Mesagne in risposta alle osservazioni mosse su alcune testate d’informazione intende brevemente precisare quanto segue.
Nel maggio del 2008 il Sindaco Incalza, all’indomani della vittoria al ballottaggio con il suo avversario Avv. Molfetta, nel formare la squadra di governo ritenne di seguire una linea di condotta che premiava le forze che avevano contribuito a tale successo. La DC, vogliamo ricordarlo, partito fondato da Alcide De Gasperi nell’ottobre del 1942 - e non la “nuova Democrazia Cristiana” come è stata erroneamente ribattezzata dal su citato quotidiano - è una forza di centro che convinta delle buone intenzioni del candidato Incalza decise di appoggiarlo e sostenerlo ed i nostri elettori premiarono questa scelta. Non crediamo che sia politicamente corretto denominare “una manciata di voti” circa 600 cittadini(3,3%) che liberamente hanno scelto di sostenere il nostro partito e quindi anche il sindaco Incalza. Non crediamo che la nomina di Giovanni Guarini, all’interno della squadra di governo sia stata una scelta tecnica o “esterna”, ma in verità fu fortemente politica visto il fondamentale apporto che la DC ha dato per portare al ballottaggio e dunque alla vittoria elettorale il proprio candidato. Sicuramente non era obbligata dato che per “una manciata di voti” (qui il virgolettato ci sembra più appropriato), la lista non fu premiata con l’elezione di un consigliere, ma una scelta che era in sintonia con una giusta interpretazione del volere popolare e ciò è stato colto con saggezza dal Sindaco che crediamo vorrà mantenere coerentemente questa linea di condotta fino alla fine del suo mandato. Ed ancora, non crediamo politicamente corretto che una forza politica esterni, a mezzo stampa, precise osservazioni su un amministratore facente parte di un’altra forza politica alleata prima di comunicarle direttamente alla stessa. Vorremmo altresì comprendere, in quanto a noi sfugge, chi determina o quali siano i parametri per valutare “l’esperienza o l’inesperienza” di un amministratore considerato che molti assessori della giunta, tranne il più navigato vice sindaco De Punzio, sono alla loro prima esperienza amministrativa. Non crediamo sia questo un aspetto limitativo.
Teniamo invece a sottolineare che il nostro impegno nel quadro politico mesagnese e nelle istituzioni si muove esclusivamente nell’interesse del cittadino indipendentemente dal suo credo politico. Giammai avalliamo e avalleremo comportamenti non in linea con i principi fondanti di una buona e sana amministrazione pubblica.
Per quanto attiene all’operato del nostro rappresentante in Giunta Guarini, riteniamo che egli abbia agito, fino a prova del contrario, nell’esclusivo interesse dell’amministrazione. In merito all’interpellanza di cui è stato destinatario non crediamo sia giusto procedere a processi sommari e mediatici, come molto spesso accade. Sarà giusto e legittimo rispondere nelle sedi opportune alle richieste altrettanto legittime dell’opposizione. Se errori vi sono stati è giusto assumersi le responsabilità in caso contrario bisognerà andare avanti con sempre più forza e determinazione.


Il Segretario cittadino DC
Alberto DESTINO
posted by segreteria Dc @ 11:25  
giovedì 12 febbraio 2009
Cronaca? No," Fantasia del pizzaiolo"
La cosa che meraviglia è che li leggono. Si rimane basiti di fronte alla faziosità strumentale e preconcepita di alcuni che scrivono in giro. Ti alzi una mattina e scopri di avere un nemico, in realtà inesistente, poiché inventato dall’umore o dal grado di pettegolezzo e di cultura di chi raccoglie “le voci” che circolano. Una storia vecchia come il mondo, qualcuno direbbe, dimenticando che tale comportamento è più confacente a qualche salotto di ciarlatani, piuttosto che a gente che viene letta, in maniera volente o nolente.

Si discuteva con un giornalista - di razza lui – circa la difficoltà di rendere obiettiva la osservazione giornalistica. In effetti il compito è impossibile, giacché dietro al racconto di un fatto si è abituati ad inserire la visione di esso a seconda della propria convinzione sugli accaduti.

E’ stupefacente come si manipola il dato informativo nel microcontesto urbano, indirizzandolo verso questo o quell’ altro obiettivo precostituito a tavolino.

Racconti fantastici frutto di sogni di infanzia del giornalista sono il pasto quotidiano di diversi ignari lettori, pernacchie che diventano bombe, scheletri nell’armadio che diventano piccoli peccati veniali.

Signore e signori, non è "La Corrida" di Scotti ma le somiglia da impazzire!

Daniele Morleo
http://portapicmesagne.altervista.org/
posted by segreteria Dc @ 15:50  
A PROPOSITO DI ELUANA

E’ difficile parlare di Eluana. E’ difficile pensare quello che la famiglia possa provare in questo momento, pensare al dolore, all’angoscia, all’ansia, allo stress. E’ difficile ma occorre farlo. Il quesito che ognuno di noi si deve porre è il seguente: si può avere il diritto sulla vita e sulla morte? Io credo fermamente di no e per una serie di motivi.
Innanzitutto quello alla vita è un diritto indisponibile, anzi il più importante fra tutti i diritti indisponibili. Ciò significa che non solo non si può decidere della vita di un altro uomo innocente, ma che nemmeno è lecito disporre arbitrariamente della propria. Perfino il suicidio rappresenta giuridicamente parlando un atto illecito, anche se ovviamente non è punito dal codice penale. E’ però sanzionata l’istigazione al suicidio, con cui il legislatore rivela il suo sfavore per chi si toglie la vita. Anche la libertà appartiene a questa categoria di diritti specialissimi: se una persona volesse liberamente diventare schiava di un’altra, l’eventuale contratto fra le parti sarebbe nullo. Con ciò si dimostra che non è vero che l’autonomia decisionale del singolo gli permette di fare qualsiasi cosa. Non si può rinunciare ad essere liberi, come non si può rinunciare alla vita.
L’eutanasia - sia quando è frutto di un’azione (un’iniezione velenosa) sia quando è frutto di un’omissione dolosa e colpevole (sospensione dell’alimentazione) - comporta sempre il coinvolgimento di una terza persona, che liberamente si offre di togliere la vita a un’altra. Dunque, anche in presenza del consenso del malato, siamo sempre di fronte all’uccisione di un essere innocente. La legalizzazione dell’omicidio del consenziente è un trauma giuridico che sconvolge radicalmente l’intera impalcatura dello stato di diritto.
La richiesta del paziente è solo apparentemente il fondamento dell’atto eutanasico. Infatti, o si decide che qualsiasi richiesta di eutanasia deve essere assecondata, e in tal caso anche una persona sana avrebbe diritto a ottenerla - ma si coglie subito l’esito paradossale di una simile soluzione -, oppure lo Stato elabora dei criteri in base ai quali si può ottenere la morte pietosa. Ma così facendo, si noterà che il vero discrimine è rappresentato da un giudizio sulla qualità della vita, operato dalle strutture dello Stato. Dunque, il fondamento dell’eutanasia è sempre e comunque un giudizio esterno al malato, sul fatto che quella sia una vita che merita o non merita di essere vissuta.Chi o che cosa traccerà l’esile linea di demarcazione fra un paziente che merita di essere terminato e un altro che non lo merita?
Altro argomento: la decisione del paziente è assolutamente inattendibile. Se è formulata prima della malattia, rimane il dubbio che essa sia ancora valida quando il soggetto ha perso conoscenza; se invece è contestuale alla sofferenza, nessuno può garantire che essa sia lucida e libera, proprio per la morsa che la sofferenza stringe intorno alla psiche del sofferente.
La legalizzazione non è un elemento neutro della normazione, ma ha un indubitabile effetto incentivante. Essa mette alle strette tutti i malati deboli - anziani, disabili, abbandonati dalla famiglia, persone sole - costringendoli a interrogarsi se non sia una forma di egoismo sottrarsi a una soluzione percorribile, che altri seguono. Insomma: si suggerisce alla gente qual è la via moderna e pulita per togliere il disturbo.
Inoltre la legalizzazione trasformerebbe radicalmente la missione del medico. Oggi, ogni paziente sa che con ogni buon medico si instaura un’alleanza terapeutica, che ha lo scopo non già di guarire (spesso non è possibile) ma di curare sempre. Il paziente si aspetta che un giorno il medico possa dichiararsi impotente a guarire, ma sa anche che il suo compito non è dare la morte. Con la legalizzazione, il medico assumerebbe - al di là delle ipocrisie pietose dell’antilingua - il compito di funzionario statale addetto alla terminazione di alcuni pazienti. Il nostro rapporto con il medico, il suo sguardo su di noi, cambierebbe radicalmente. In peggio!
Parliamo del cosiddetto pendio scivoloso. In tutti i Paesi dove si è legalizzata l’eutanasia solo su richiesta del paziente, ci si è presto accorti che spesso essa veniva praticata anche in assenza di qualsiasi domanda del malato. Questo è molto ovvio e persino logico: poiché l’eutanasia è invocata per porre fine a "sofferenze insopportabili", spesso sono pazienti incapaci di intendere e di volere a subirle (non si sa quanto consapevolmente) e il vero dramma è di coloro che li circondano: ma se uccidere per pietà è ritenuto "il" bene del paziente, non si vede perché mai fermarsi di fronte alla mancanza del suo parere.
Ci dicono che i malati cronici costano. Dunque, in un ordinamento in cui fosse accolto il principio che uccidere un innocente è lecito se fatto per motivi pietosi, sarebbe perfettamente coerente attendersi che si ponga fine alle vite ritenute insignificanti ma costose per la società. Ovviamente, in nome del supremo interesse della scienza e della medicina, e della necessità di usare le poche risorse a favore di pazienti con una qualità di vita migliore.
Per chiudere il precedente nazista. Adolf Hitler è stato il primo e il più convinto sostenitore dell’eutanasia per motivi pietosi. Le camere a gas naziste sono state inaugurate da tedeschi di pura razza ariana, nient’affatto ostili al regime, ma considerati portatori di "vite senza valore”. Ci sono lettere riservate del Führer al suo medico personale, in cui Hitler spiega le ragioni filantropiche per cui è meglio eliminare handicappati, scemi, storpi, reduci della prima guerra mondiale. Non ne parla con odio o disprezzo, ma con sincera pietà. Proprio come accade oggi ai fautori dell’eutanasia liberale e democratica. Per rivivere certi orrori non è affatto necessario far rivivere le camice brune e le svastiche. Basta lasciare spazio alla cultura che fu alla base di quell’orrore. Chissà se la modernità avrà il coraggio di ammettere che i mostri che si agitano nelle parti più segrete del nostro cuore non sono morti con il nazismo, ma sono sempre pronti a riemergere, dietro la faccia pulita e rispettabile della pietà interessata.

di Ezio Falini
Coordinatore della Segreteria Politica della DC
posted by segreteria Dc @ 15:32  
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